CITARE CALVINO-(terza parte)

CITARE CALVINO-(terza parte)

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“ll tempo narrativo può essere anche ritardante, o ciclico, o immobile. In ogni caso il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo e dilatandolo”.

Calvino non ha dipinto, non ha fotografato, non ha disegnato. Tanta era l’ammirazione per le arti visive che, forse per questo motivo, ha spesso utilizzato le parole come stesse dipingendo. Come pochi è riuscito a creare immagini senza ricorrere al pennello, senza usare i colori, e lo ha fatto con uno stile incredibilmente iconico, capace di figurazioni (a volte) incredibilmente più potenti di quelle pittoriche. Molti suoi scritti, anche quelli che non riguardano nello specifico l’arte, ci presentano opere che si situano in una regione di confine, in bilico tra scritto e figurato.

« LA FOTOGRAFIA HA SENSO SOLO SE ESAURISCE TUTTE LE IMMAGINI POSSIBILI »

            « QUALSIASI COSA DIA DA VEDERE E QUALUNQUE SIA LA SUA MANIERA, UNA FOTO È                                           SEMPRE INVISIBILE : NON É ESSA CHE VEDIAMO».

Queste due frasi, che moltiplicano le interpretazioni, sembrano contraddirsi ma possiamo immaginare che si oppongano come lo fanno due colori complementari per giungere a una verità globale che è dell’ordine dell’utopia. Lo suggeriscono queste parole di Calvino utilizzate da Barthes quando dichiara di aver trovato «la vera fotografia totale». Il personaggio di “L’avventura di un fotografo” ce ne dà una definizione enigmatica : « Forse la vera fotografia totale, – pensò, – è un mucchio di frammenti d’immagini private, sullo sfondo sgualcito delle stragi e delle incoronazioni. »

 

Riflessioni su un punto di vista

La posizione di Italo Calvino nei confronti della fotografia è ambigua. Seduzione e diniego sembrano alternarsi o anche mescolarsi ed infine tradursi, nell’autore di “L’avventura di un fotografo”, in una diffidenza analoga a quella dei primi analisti di un medium che sembra entrare in concorrenza sia col reale che con la rappresentazione artistica della realtà.

Per questo la preferenza di Calvino va alla pittura, raggiungendo a volte il punto di vista dell’arte di Baudelaire, che relega la fotografia a una semplice mimesi, privandola così di ogni espressività individuale, classificandola nell’industria e nella riproduzione di massa, la “democratizzazione” per Baudelaire, con la conseguenza, più tardi, della “perte de l’aura” dell’opera d’arte, secondo Walter Benjamin.

Tuttavia Italo Calvino riviene senza indugio alla fotografia, basando anche la sua riflessione sui lavori dell’amico Roland Barthes e ci dà infine la sua visione paradossale in “L’avventura di un fotografo” conferendo alla fotografia una dimensione affettiva legata all’amore e alla morte, quello che Roland Barthes aveva notato nel suo percorso riflessivo, ridando alla fotografia degli “stati d’animo”, riabilitandola, in un certo senso, conferendole un immaginario che pareva volere escludere nella sua ricerca apparente di realismo assoluto.

 

Roland Barthes (Cherbourg12 novembre 1915 – Parigi26 marzo 1980) è stato un saggistacritico letterariolinguista e semiologo francese, fra i maggiori esponenti della nuova critica francese di orientamento strutturalista.

 

La camera chiara

L’opera in questione contiene digressioni e riflessioni sull’arte della fotografia. L’autore prende in considerazione varie fotografie, scattate da diversi artisti tra cui Richard AvedonRobert MapplethorpeNadar e Niépce, e commentandole trae spunti di riflessione sulla fotografia. Barthes distingue tre elementi fondamentali dell’arte fotografica:

  • L’operator ovvero l’operatore, colui che fa la foto.
  • Lo spectator ossia il fruitore, lo spettatore.
  • Lo spectrum vale a dire il soggetto immortalato.

L’autore distingue inoltre due modi che ha lo spectator di fruire una fotografia:

  • Lo studium è l’aspetto razionale e si manifesta quando il fruitore si pone delle domande sulle informazioni che la foto gli fornisce (costumi, usi, aspetti).
  • Il punctum, è invece l’aspetto emotivo, ove lo spettatore viene irrazionalmente colpito da un dettaglio particolare della foto.

Il saggio La camera chiara è un testo fondamentale anche nell’indagine sul rapporto tra realtà e immagine, comunicazione e rappresentazione fotografica.

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