SARA MOON

SARA MOON

La mia visione sfocata è innata. Sono miope come una talpaÈ stato solo quando ho iniziato a fotografare che me ne sono resa conto. La gente mi diceva:- Questa foto non è nitida!.Io non capivo, perché era così che vedevo le cose, non avevo mai portato gli occhiali in vita mia”.

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SARA MOON in gioventù è costretta a lasciare la Francia occupata per andare in Inghilterra a studiare disegno. La sua bellezza la conduce dritta dritta in passerella: lavorerà per i più grandi stilisti come modella a Londra e Parigi dal 1960 al 1966 ma, fra un cambio d’abito e uno shooting, ben presto mostra una spiccata predilezione per l’obiettivo, immortalando amiche e  colleghe. La sua fama cresce, lavora per Chanel, Dior e Vogue. Da oltre trent’anni anni Sarah Moon – vincitrice di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Grand Prix National de la Photographie nel 1995 e il Prix Nadar nel 2008 – costruisce e arricchisce un universo personale incentrato in particolar modo su tre temi: l’evanescenza della bellezza, l’incerto e lo scorrere del tempo.

Le sue foto rimandano immagini che riproducono atmosfere oniriche: forse testimonianze di momenti che andrebbero perduti?

«Credo che la fotografia riguardi proprio questo: far durare un istante. Nel momento in cui lo catturi è già diventato un souvenir».

Attraverso il suo obiettivo lei sembra voler fermare il tempo, quasi fosse uno dei protagonisti della sua fotografia: che importanza ha per lei?

«Come diceva Baudelaire: “Ricordati che il tempo è un giocatore avido: guadagna senza barare, ad ogni colpo! È la legge”. La sola cosa che posso tentare è fermare l’ottavo di un secondo mentre il tempo scorre».

Alcuni suoi scatti sono misteriosi, carichi di tensione drammatica, senza mai scadere nel drammatico: qual è l’alfabeto segreto della sua fotografia?

«Non c’è alcun segreto, mi sembra di ricavare una rappresentazione dalla realtà; creo delle situazioni che non esistono, cercando la verità nella finzione (non a caso in un’intervista di qualche anno fa a “L’Express”, rivista dove Sarah Moon aveva pubblicato le sue prime foto nel 1967, fra le risposte ammise un candido, “non sono capace di fare la reporter”, ndr)».

Davanti ai suoi lavori si ha la sensazione di venir trasportati da uno spazio definito a un altro parallelo, fatto di caos e disarmonia: cadrà mai nella tentazione di fotografare la realtà?

«Tutto ciò che vedo per me è vero. Se dieci persone fotografassero lo stesso albero, ci sarebbero dieci alberi diversi. Ciascuno ha una propria realtà e una propria visione».

Molti profani dell’obiettivo si chiedono se esista lo scatto perfetto. Qual è il suo?

«Non penso che una fotografia sia una questione di perfezione, per me riguarda il senso e l’emozione».